7 sfumature di plastica
Parliamo spesso di “plastica”, ma ne conosciamo le differenti tipologie?
Che differenza c’è tra una bottiglia di plastica e il cruscotto della tua auto? E tra una cannuccia e il tubo di una grondaia? Sappiamo tutti che la plastica inquini, ma quali sono le plastiche più pericolose?
Oltre il 50% della plastica è stata prodotta dal 2000 a oggi, rappresentando circa 1 miliardo di tonnellate di CO2e/anno (fonte: CIEL), con un consumo pro-capite in UE di circa 150 kg/anno, a fronte di una media mondiale di 60 kg/anno (fonte: EEA). Il settore della plastica rappresenta il 5°/6° stato per emissioni di gas serra. Se le stime di crescita della produzione dovessero essere confermate, diverrebbe il 3° entro il 2050 (elaborazione: Greenpeace).
Oggi, ti parlo di uno dei materiali più diffusi sul pianeta, al punto da procedere verso il triplicare dei quantitativi al 2060 (fonte: OECD), responsabile di impatti climatici e ambientali devastanti.
Riconoscere la plastica
Le varietà di plastica sono tante. Talmente tante, che spesso si fa fatica a riconoscerle. Lo standard internazionale, non sempre adottato, suggerisce l’impressione di un simbolo di facile riconoscimento che ne classifichi il materiale. In linea teorica, questo dovrebbe aiutare a comprendere la tipologia del materiale con cui si ha a che fare e agevolare una raccolta di alta qualità, che la selezioni all’origine per poter procedere a un corretto riciclaggio.
La realtà è, purtroppo, ben diversa, poiché il risultato è spesso l’esatto contrario per una serie di ragioni:
solo in rari casi la raccolta differenziata post-consumer permette di separare all’origine le plastiche e molti prodotti non ne permettono una facile identificazione
non vi è adeguata comunicazione al pubblico sulle diverse pericolosità delle plastiche e sull’effettiva percentuale riciclata, dando l’impressione che il processo sia efficace
come ti spiegherò tra poco, gran parte della plastica downcycled termina nel codice 7, che include anche le bioplastiche: un disastro annunciato poiché vengono spesso confuse con quelle non compostabili
l’ammontare astronomico dei sussidi all’Oil&Gas rende la materia vergine ben più economica di quella riciclata, orientando il ciclo della raccolta verso soluzioni non sostenibili e ritardando gli obiettivi di circolarizzazione
il basso livello di qualità della raccolta rende spesso impossibile o estremamente anti-economico il riciclaggio, in favore del downcycling e del conferimento in discarica o incenerimento
come tanti materiali non metallici, a esclusione del vetro, c’è un limite al numero di volte che un materiale plastico sia effettivamente riciclabile con i classici metodi termo-meccanici, in attesa della diffusione di quelli termo-chimici
Altolà! Plastica!
Il primo passo per prendere coscienza del problema è quello di saper riconoscere le diverse tipologie di plastica per acquistare prodotti effettivamente riciclabili, oltre a - ovviamente - ridurne il consumo personale, specialmente di quella usa e getta.
PET/PETE/PETP
Il polietilene tereftalato, nelle sue varie declinazioni, è una resina termoplastica della famiglia dei poliesteri. Una delle plastiche più note al pubblico, largamente utilizzata nei prodotti SUP (single use plastic) per il suo basso costo, facile riciclabilità sia pre-consumer che post-consumer, viene utilizzata per produrre fibre di poliestere (per esempio, il pile usato in abbigliamento), fogli termoformati, cinghie, ma soprattutto bottiglie per bevande.
HDPE
Il polietilene (PE) ad alta densità è una varietà di PE dall’alta resistenza agli shock termici, agli impatti e alla corrosione. Come in generale per tutto il PE, è di facile riciclabilità e ampiamente diffuso nella produzione di contenitori per liquidi acidi e solventi, tubazioni idrauliche, paracarri, elementi per campi sportivi e finto legno.
PVC
Il cloruro di polivinile è stato protagonista per decenni tra le plastiche, per la sua estrema flessibilità applicativa. Tuttavia, il contenuto in cloro e il rilascio del cancerogeno CVM (cloruro di vinile monomero) e altre sostanze pericolose ha portato gran parte delle nazioni del mondo a proibirlo per l’uso alimentare e nei “ciucciotti” per neonati, seppure le sue qualità intrinseche di resistenza al fuoco, chimica, alla corrosione e abrasione lo mantengono presente tuttora in tante applicazioni. E’ l’unica plastica che si presta facilmente all’uso di additivi come gli ftalati e bisfenoli - associati a danni al sistema endocrino e allo sviluppo - adipati e trimellitati per renderla morbida e flessibile. Inoltre, sono spesso utilizzati stabilizzanti al piombo e cadmio per il fissaggio delle vernici per colorarla, con inevitabili impatti ambientali a fine vita.
Lo trovi in tubazioni, recinzioni, contenitori non alimentari (shampoo, creme, cosmetici e i blister per le compresse mediche) e il noto “disco in vinile”, ma anche nei giocattoli per bambini. Greenpeace ha dedicato una battaglia di anni per portare alla luce i rischi associati al contatto con pelle e mucose del PVC, a cui sono esposti oltre il 17% dei bambini e degli adolescenti in Europa, secondo le stime dell’EEA. L’emissione di diossine e furani in caso di combustione dovrebbe evitarne il conferimento in discariche a cielo aperto o peggio in incenerimento, ma soprattutto l’utilizzo in edilizia per infissi per finestre e rivestimento dei cavi elettrici.
Come vedi, meriterebbe una Pillola a parte. Intanto, se vuoi approfondire, ti consiglio il libro verde elaborato dalla Commissione Europea sulle problematiche ambientali del PVC.
LDPE
Il polietilene a bassa densità è un’altra plastica che conosci bene. Ampiamente utilizzata per SUP, è in lenta dismissione nel mondo per tanti usi in cui può essere sostituita da materiali naturali (es.: cotone, juta, canapa) o bioplastiche compostabili. La ricorderai nei sacchetti usa-e-getta, dispensatori, e in tanto materiale da laboratorio.
PP
Il polipropilene è un polimero largamente usato nell’industria, anche alimentare, considerato una delle maggiori fonti di microplastiche, dalle proprietà di rigidità, impermeabilità alla CO2, resistenza alla fatica e alla corrosione. Lo trovi nei tappi delle bottiglie di PET, nei tessuti sintetici, nelle siringhe, provette, contenitori per cosmetici e serbatoi. La sua scarsa resistenza alle alte temperature lo rende facilmente infiammabile, nonché l’irraggiamento UV lo degrada rapidamente. Uno dei motivi per cui è vietato stoccare bottiglie per bevande esponendole alla luce solare.
PS
Il polistirene, comunemente noto come polistirolo, è un polimero principalmente utilizzato in forma di schiuma o solida, dalla facile estrusione a diverse densità. Nelle sue forme espanse, presenta qualità isolanti termo-acustiche e assorbimento meccanico. E’, infatti, ampiamente diffuso come isolante in edilizia (in forma di pannelli o insufflato nelle intercapedini di muri e infissi), accessori da ufficio, vassoi per cucina, packaging, bicchieri e contenitori per alimenti. Quasi mai accettato dagli impianti di riciclaggio, è una delle microplastiche più comunemente rilevate nei tessuti animali e umani. Ha caratteristiche di neurotossicità, immunotossicità e può causare alterazioni metaboliche. L’uso di additivi nel PS favorisce il rilascio di VOC (composti volatili organici) per degradazione e desorbimento, pertanto è sconsigliato usarlo in edilizia.
Altri tipi
Una definizione del genere fa pensare che la categoria includa i residuali della produzione di plastica mondiale. Invece, questo codice include plastiche in gran parte non riciclabili, ma ampiamente diffuse come:
il nylon dei tuoi vestiti (es. il raso), delle reti da pesca - prima causa dei rifiuti plastici negli oceani - delle setole degli spazzolini, dei paracadute e tanti tessuti tecnici
l’ABS per la tua automobile, gli elettrodomestici e i giocattoli per bambini
il policarbonato per i bicchieri riutilizzabili, i caschi protettivi, le lenti da vista e i “vetri” anti-proiettile
le resine epossidiche che trovi nella fibra di vetro per gli scafi delle barche, le tavole da surf, le carrozzerie automobilistiche e le turbine eoliche di vecchia generazione
gran parte della bioplastica compostabile, nelle più diffuse versioni flessibili (PLA), solide cristallizzate (CPLA) e in forma di filmante (es. mater-bi)
il poliuretano per gli isolanti edili, vernici, coating impermeabilizzanti e quello addizionato di poliurea per tessuti elastici (lycra/spandex), ma anche misto al cotone
l’acetato di cellulosa (CA) usato per produrre tessuti, occhiali da sole, e i filtri per sigarette
Forse un esempio rappresentativo del codice 7 è la gomma da masticare, che include un mix di polivinil-acetato (usato anche per colle, buste e bottiglie), isoprene, paraffina, polietilene e butadiene-stirene, al fine di renderla morbida, elastica e resistente. Se ne consumi, puoi cercare alternative plastic-free in gomma naturale. Noti la differenza facilmente perchè quelle in plastica non si attaccano ai denti.
L’illusione di un riciclaggio inefficace
L’attuale ciclo di vita della plastica non è circolarizzato se non in rarissimi casi, principalmente nel pre-consumer, per due motivi principali: l’assenza di incentivazione dei processi termochimici in grado di restituire materia prima seconda di alta qualità e di sistemi di raccolta adeguati.
Attualmente, il termine riciclaggio viene spesso usato impropriamente, anche perché i termini appropriati in Inglese - downcycling, recycling e upcycling - non trovano un diretto corrispondente in tante lingue.
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Il downcycling o “riciclaggio verso il basso” è la pratica più comune, ma ha notevoli difetti. Al già citato ridotto numero di cicli possibili, implica spesso la fusione di più tipologie di plastica, che ha come risultato una miscela termoindurente non più utilizzabile per gli usi primari e destinata a diventare panchine, steccati e scivoli per parchi giochi. Spesso, oggetti facilmente realizzabili con materiali naturali.
Inoltre, gli additivi presenti in alcune plastiche finiscono - per lisciviazione, adsorbimento, desorbimento ed evaporazione - per contaminare gli utenti (bambini inclusi) con i rischi associati.
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Inoltre, il processo meccanico di tritovagliatura non sempre viene seguito da un’accurata pulizia, con il risultato che solo una parte esigua del materiale in ingresso viene effettivamente destinato alla fase di fusione e produzione del pellet finale.
La separazione per flottazione, infatti, attraverso il quale vengono selezionati i diversi tipi di plastiche (es. PET, PS e PVC affondano, PE e PP galleggiano), non sempre avviene con detergenti in grado di eliminare i residui oleosi. Anche la bioplastica - se non correttamente smaltita con la frazione organica - affonda e finisce per essere raccolta con il PET e contaminare la successiva fusione.
Ne consegue che, in funzione della qualità della selezione e del trattamento, una parte consistente della raccolta termina in discarica o viene conferita in incenerimento, sia come pellet che come syngas da pirolisi.
Scriverò presto una Pillola dedicata all’incenerimento, ma se sei tra quelli che crede che questi impianti siano utili a produrre energia e disfarsi dei rifiuti, ti inizio a far notare che le loro emissioni di CO2 sono comparabili a quelle del carbone.
Più del 40% della plastica finisce negli inceneritori nell'UE (fonte: Plastic Europe) e solo il 9% - in media - viene trattato per recycling e downcycling (fonte: EEA).
Approfondirò il tema della bioplastica e dei contenitori in poliaccoppiato in una Pillola a parte. Seguimi per saperne di più.
Perché non si interviene?
Le ragioni sono molteplici, ma strettamente interconnesse con le stesse per cui tanti settori industriali stentano ad allinearsi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
A motivazioni puramente economiche, si aggiungono quelle logistiche per le difficoltà di adeguamento di forniture e processi industriali ormai consolidati. Lo stretto legame che l’industria dell’Oil&Gas e i produttori di plastica hanno tessuto con le multinazionali alimentari e cosmetiche - per nominare le due maggiori responsabili del consumo di SUP - mostra una situazione allarmante che non accenna a migliorare.
Coca-Cola Company, Nestlé e Danone, aziende in cima alla classifica degli utilizzatori di SUP e responsabili di una quota di oltre il 17% del totale, sono state denunciate già nel 2023 per false asserzioni sulle loro bottiglie con diciture “100% riciclata” e “100% riciclabile” da Client Earth, dal Bureau Européen des Unions de Consommateurs (BEUC) e dall’Environmental Coalition on Standards (ECOS).
Anche il settore della moda ha grandi responsabilità, che meritano una Pillola dedicata.
La plastica sotto il tappeto
Per anni, gli Stati più ricchi del pianeta - Europa inclusa, con Germania e Belgio in testa - incapaci di porre rimedio all’esigua percentuale riciclata, hanno inviato milioni di tonnellate di rifiuti plastici verso Paesi africani e asiatici - principalmente verso Cina, India e Turchia - dove gli standard ambientali e il rispetto dei diritti umani venivano ampiamente ignorati, in favore di ingenti somme di danaro ai governi e misere retribuzioni ai lavoratori impegnati nelle discariche a cielo aperto, con paghe di circa 6.50 $/giorno.
Alla fine del 2016, la Cina ha annunciato di non voler più accettare spedizioni, in quanto la qualità era sempre più scadente e complessa da trattare. In realtà, la motivazione principale era l’impossibilità di far fronte all’aumento interno dei materiali da trattare. La nostra “soluzione” è stata quella di ridirezionare le spedizioni verso Thailandia, Vietnam, e Malesia, spostandole da un tappeto all’altro.
Cosa posso fare per ridurre il problema?
Il problema è complesso e va affrontato alla radice, imponendo una veloce adozione di standard circolari come l’Ecodesign, che predilige l’uso di materiali naturali e la progettazione dei manufatti per un facile disassemblaggio a fine vita, separando i differenti materiali e recuperarli/riciclarli e minimizzando la componente lineare.
Occorre una revisione di tutte le tappe della filiera, a partire dalla minimizzazione delle quantità di plastica vergine immesse nel ciclo, fino all’adozione di nuove tecnologie per l’incremento della qualità della raccolta differenziata.
Per quanto ti riguarda, non sottovalutare il tuo contributo nel saper conferire i rifiuti prodotti in casa e in azienda, al fine di ridurre i quantitativi successivamente esclusi dai processi di riciclaggio.
Informati sui siti web delle amministrazioni locali per verificare quali siano effettivamente accettati e in che forma. Libera i contenitori da residui di cibo ed eventualmente lava o scarta quelli con residui di grasso, se l’azienda locale non è in grado di processarli.
In tutta Europa, anche i punti vendita - supermercati, farmacie, negozi - partecipano alla raccolta di quelli speciali o non trattati dal servizio pubblico. Le farmacie ritirano i farmaci scaduti, molte catene dei supermercati la plastica in film (buste per alimenti, pellicole…) e le batterie esauste, i benzinai gli olii minerali.
Le regolamentazioni RAEE obbligano i piccoli negozi ad accettare il vecchio dispositivo elettronico - non più di 25 cm di lato - all’atto dell’acquisto di uno nuovo (“uno contro uno”) e quelli con superficie superiore a 400 m2 a ritirarne anche in assenza dell’acquisto (“uno contro zero”).
Per tutto il resto, localizza l’isola ecologica più vicina per trasportare (o far ritirare) tutti quelli più ingombranti o più complessi da smaltire (es. cavi elettrici, mobili, grassi da cucina, lampadine, ecc.).
Non finisce mica qui!
Presto pubblicherò una Pillola dedicata agli effetti delle microplastiche sull’ambiente e sulla salute umana, tra cui uno studio che ne indaga la presenza nel cervello e il possibile legame con la demenza.
Forse, essi sono già visibili nel presidente USA Trump, il quale ha recentemente firmato un ordine esecutivo per bandire le cannucce di carta e tornare a quelle di plastica. Il motivo? “Esplodono dopo pochi secondi”. Non un giornalista in sala ha chiesto chiarimenti su una bufala di tale portata, tesa unicamente a soddisfare le richieste dei petrolieri.
La corretta informazione tecnico-scientifica deve urgentemente tornare ad avere un ruolo primario nella discussione pubblica. Non ti pare?
Dovendo scegliere per forza fra incenerimento e discarica, preferirei la discarica, meglio se dopo un rapido trattamento (pressofusione?) per trasformarla in blocchi riducendone drasticamente la superficie e quindi la degradabilità. Diventerebbe, secondo me, un vero "pozzo di carbonio". Ma anche gli usi durevoli (staccionate, edilizia, ecc) dovrebbero essere dei buoni "pozzi di carbonio". Insomma, qualsiasi cosa ma non bruciarla (e non disperderla, men che meno finemente sminuzzata).
Alessandro Brollo